Filippo Armonio

Gibellini Proxima 45

Era da molto tempo che desideravo di provare una Folding Camera grande formato. Sin ho iniziato ha fotografare, sono sempre stato affascinato da questi strumenti. Dall’iconico gesto dei grandi maestri che indossano il panno per entrare in un mondo oscuro. Un mondo dove la luce passa solo attraverso il soffietto e l’immagine appare capovolta sul vetro smerigliato. Una sorta di rituale magico, avvolto in un’aurea di mistero.

E poi sono davvero tanti i lavori dei grandi fotografi che hanno utilizzato questa tecnologia per raccontare storie. A partire da Ansel Adams, che ha mostrato al mondo i grandi Parchi Americani. Gabriele Basilico che ci ha raccontato le moderne metropoli, fino ai contemporanei, come Meyerowitz con Cape Light, e Massimo Vitali con le sue spiagge.

Grazie all’amica Alessia Palermiti, che mi ha prestato la Gibellini Proxima 45, finalmente sono riuscito a fare i miei primi scatti con il grande formato. Quindi, dopo una giornata passata in montagna, ho scritto questo articolo per raccontare la mia prima esperienza con una Folding Camera. Camera che, anche se costruita con materiali e tecniche moderne, il suo funzionamento non è cambiato negli ultimi 150 anni.

Premessa

Prima di iniziare a raccontare questa mia esperienza, però, ci tengo a precisare che questo articolo non è una recensione del prodotto. Non avendo mai lavorato prima con il grande formato, non ho un paragoni per una recensione e, detto francamente, non mi interessa neanche farla.

Con questo articolo voglio solo raccontare cosa è successo durante il mio primo approccio. Le difficoltà e le sensazioni che ho vissuto con il grande formato. Voglio portare mettere a disposizione questa esperienza a chi eventualmente vuole iniziare a scattare con questo tipo di macchina fotografica. Magari in un prossimo articolo cercherò di entrare più nel dettaglio su come si utilizza una Folding. Ma per il momento non mi sento di parlare di argomenti di cui ancora so molto poco.

La macchina

La Gibellini Proxima 45 è una Folding Camera 4×5 pollici (10x12cm) realizzata dall’omonima azienda con nuovissime tecnologie di stampa 3D. Stampata in PLA (acido poli-lattico, derivato dall’amido di mais), garantisce particolare leggerezza nonostante l’elevato numero di movimenti.

Questo rende la folding uno strumento ideale per chi si vuole avvicinare al grande formato. La sua leggerezza la rende la macchina una perfetta alleata per chi ama fare fotografia all’aperto, grazie alla sua portabilità.

Infatti, il genere fotografico che sono solito fare è la fotografia di paesaggio. Per questo non volevo provare la macchina in un ambiente controllato. Sin da subito, ho preferito testare l’apparecchio direttamente sul campo, per capire le difficoltà che avrei potuto incontrare su un utilizzo pratico e reale.

Il giorno del test sono salito nel Parco Nazionale dell’Aspromonte, il mio paesaggio preferito. Non ho trovato una buona luce, c’era una fastidiosa foschia di scirocco che rendeva l’atmosfera abbastanza piatta, senza contrasti e poco nitida. Ma quel giorno il mio focus non era fare buona fotografia, ma concentrarmi sul funzionamento e imparare come si utilizza la macchina.

I primi guai

Sembra banale, e per quanto semplice sia la costruzione, sono parecchi i pomelli da svitare e avvitare per mettere in piedi il banco. Bisogna controllare i movimenti per aggiustare il piano focale, correggere la prospettiva a mettere a posto la composizione. Le variabili da tenere in considerazione per scattare una fotografia sono molteplici.

E poi c’è tutta la parte relativa alla fase di scatto che comprende la misurazione dell’esposizione, che non è per nulla scontata. Con questi strumenti si utilizzano lenti poco luminose e diaframmi molto chiusi. Se si considera poi di scattare dentro un bosco con una pessima luce e contrasti terribili, le cose si complicano parecchio.

Inoltre, comporre non è per nulla facile. Bisogna mettere a fuoco con un apposito lentino (loupe) l’immagine che appare sul vetro smerigliato che è tutt’altro che un monitor. Infatti, le prime fotografie che ho scattato sono state una tragedia, non riuscivo a capire come regolare lo strumento per ottenere un’immagine corretta.

In confusione

Metti il panno, guardi dentro e non vedi nulla perché ti sei scordato di aprire l’otturatore. Apri l’otturatore e vedi solo una palla di luce al centro, il soffietto è troppo disteso, bisogna portarlo alla giusta distanza. Visualizzata la bozza poi va fatta la regolazione fine del fuco.

Dopo che l’inquadratura è stata sistemata, inserisci il porta negativo (chassie) ma ti scordi di togliere il volè. Poi è necessario armare l’otturatore e subito dopo, prima di scattare, c’è da regolare ancora il diaframma. Insomma un casino! Per il primo scatto ci sono voluti abbondantemente venti minuti. – In quel momento ho pensato: “Questa non è una macchina che fa per me!” …

Però ero salito in Aspromonte appositamente per capire il funzionamento di questo apparecchio. Quindi pian piano, con un po’ di perseveranza ho cominciato a prendere sempre più confidenza con il mezzo. Ho iniziato a crearmi una sequenza di lavoro ordinata e dopo circa una decina di tentativi il mio workflow era già migliorato.

La luce in fondo al tunnel

Stava iniziando a piacermi. Al quarto/quinto scatto avevo automatizzato tutti i passaggi ed era diventato divertente. Si, perché non si tratta soltanto di fare semplicemente la fotografia, ma diventava un vero è proprio stile di lavoro, ultra-rallentato. Cosa che a me, sinceramente, non dispiace affatto.

Infatti avevo già potuto sperimentare questa lentezza. Scatto in medio formato con una Mamiya RZ67, che non è certo paragonabile al banco ottico, ma resta comunque un modo di fotografare lento.

Non sono una persona frenetica, e non amo la folle velocità a cui siamo abituati a lavorare oggi. Pertanto credo che scattare con il grande formato, anche se ancora è troppo presto per dirlo, possa rientrare nel mio modo di fare fotografia.

A fine giornata avevo esposto tutte e sei le lastre che avevo con me. Non restava che rientrare a casa per sviluppare i negativi e vedere i risultati ottenuti. Sapevo già sapevo che fotograficamente non c’erano risultati, però posso dire che nel complesso questa mia prima esperienza è stata positiva. L’utilizzo della Folding mi ha ricordato molto la sensazione che ho avuto qualche anno prima, quando ho fatto il passaggio dal piccolo al medio formato.

Lo sviluppo Fomapan 100

Per questa mia prima sessione di scatto ho utilizzato la Fomapan 100. Una bellissima pellicola in bianco e nero realizzata dalla Foma, un’azienda della Repubblica Ceca che produce negativi sin dal 1921. Per lo sviluppo del negativo è stato un’accessorio stampato in 3D, progettato appositamente per essere utilizzato nelle tank cilindriche per il piccolo e medio formato. Le lastre vanno posizionate con l’emulsione verso l’interno, in modo tale da permettere alla chimica di agire senza problemi sulla superficie emulsionata.

Per sviluppare le lastre ho utilizzato una tank Paterson. La versione più piccola, quella che può sviluppare 2 rulli 135 o 1 rullo 120 oppure, in questo caso, fino a 4 lastre 4×5. Sono necessarie circa 600 ml di chimica, poco più dalla quantità indicata nelle specifiche della tank (500ml), ho notato che le lastre sono più alte.

Logicamente bisogna fare il caricamento delle pellicole completamente al buio o, come nel mio caso, utilizzando una changing-bag. Una volta caricati i negativi e tolta la tank dalla camera oscura portatile, si può procedere allo sviluppo direttamente alla luce senza problemi.

Come rivelatore, invece, ho utilizzato l’R9 della Compard One Shot che avevo a casa, in diluizione 1+50. I tempi per sviluppo suggeriti dal bugiardino sono di 9 minuti a 20 gradi. Successivamente il classico minuto di stop e subito dopo i cinque minuti di fissaggio. Per finire, ho terminato il processo con il lavaggio finale, prima dieci minuti in acqua corrente e poi circa un minuto in acqua demineralizzata con qualche goccia di imbibente.

Nella foto sopra è possibile vedere le lastre arrotolate all’interno dell’accessorio di sviluppo stampato in 3D appena terminato il lavaggio finale.

Il risultato

Come ho già scritto nella parte iniziale dell’articolo, durante la giornata di scatto non ho trovato una buona luce, però devo dire che appena estratti i negativi dalla tank, ho subito potuto apprezzare un risultato superiore alle mie aspettative.

Il negativo, ancora bagnato, si presenta denso e correttamente sviluppato. A prima vista sono abbastanza soddisfatto anche se si nota qualche piccolo graffio causato da me accidentalmente, probabilmente durante l’inserimento nel porta negativo o quando ho caricato le pellicole all’interno della tank. D’altronde era la prima volta che facevo questa operazione, ma in ogni caso poca roba, nulla di particolare.

Nello scatto sopra si può notare come il cielo sia venuto leggermente sovraesposto e il terreno un po’ sottoesposto. Questo a causa della foschia di scirocco di cui parlavo prima, che ha complicato non poco la lettura dell’esposizione. Nonostante ciò i negativi sono ricchi di sfumature e di dettagli. Immagino che anche la gamma dinamica sia superiore rispetto ai formati più piccoli.

A questo punto non mi resta che appendere le pellicole e lasciarle asciugare per qualche ora, in un apposito armadietto che ho realizzato proprio per questo scopo.

Le scansioni

Per la scansione dei negativi ho utilizzato uno scanner Epson V850 con apposito supporto in dotazione per il formato 4×5 e Silverfast 8 come software. Un connubio di grande qualità per la scansione delle pellicole.

Primo scatto realizzato con Gibellini Proxima 45 e Fomapan 100.

Sopra il primo scatto che ho realizzato la mattina del test, che dimostra, appunto, quanto è stato difficile regolare la macchina per ottenere il primo fotogramma. Ci sono diverse problematiche di cui non ho tenuto conto, in particolare il fatto che non tutte le lenti sono in grado di coprire i movimenti di macchina. In questo caso, probabilmente, ho alzato troppo la standarta anteriore e nello schermo è apparso il cono della lente. Anzi, se qualcuno di voi può spiegare meglio questo fenomeno può commentare sotto.

Foto scattata con GIbellini proxima 45 e Fomapan 100
Fomapan 100, Gibellini Proxima 45

Per concludere l’articolo posso dire che, come primo utilizzo sono abbastanza soddisfatto, le foto non mi dispiacciono, anzi, si nota molto quanto grande sia la capacità di risolvenza di questo formato. Tira fuori negativi ricchi di dettagli e stupefacente gamma dinamica. Logicamente la strada per imparare a utilizzare a pieno questo tipo di tecnologia è lunga, ma sono fiducioso che con il tempo si possono ottenere risultati di grande impatto e qualità. Grazie per aver letto questo articolo!

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